Qui il numero delle istanze agevolate e dell’importo medio per impresa.
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Ai sensi della Circolare n. 32024 del 30 settembre 2013, emessa dal Mise-Dps-Dgiai, “possono accedere alle agevolazioni anche gli studi professionali e, più in generale, i professionisti purché svolgano la propria attività in forma di impresa e siano iscritti, alla data di presentazione dell’istanza di agevolazione, al Registro delle imprese”.
Tale precisazione, non inclusa del D.M. 10 aprile 2013 e probabilmente necessaria in considerazione del fatto che per i titolari di reddito da lavoro autonomo una previsione (ai soli fini dell’esonero contributivo) era invece contenuta nell’originaria disciplina normativa (art. 1, comma 341, lett. d) della L. n. 296/2006), ha generato non pochi dubbi nel quadro del più ampio dibattito sulla natura del reddito prodotto dalle Società tra Professionisti ai sensi della L. n. 183/2011 e sulla rilevanza (solo anagrafica?) dell’iscrizione di tali soggetti al Registro delle Imprese (tra i molti contributi, si segnalano quello del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, quello della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro e quello del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili).
Le incertezze nascono dal fatto che, ai sensi dell’art. 10 della L. n. 183/2011, le S.t.p. possono esse costituite “secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile”, dunque anche modelli di società in generale e di norma produttive di reddito d’impresa, ma solo ed esclusivamente “per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico”, attività invece tipicamente produttive di reddito da lavoro autonomo.
Mentre, per esempio, per le “società di ingegneria” ex D.Lgs. n. 163/2006 il problema è stato risolto dalla stessa Agenzia delle Entrate con Risoluzione n. 56/e del 2006 (secondo cui queste, in quanto società di capitali, producono senza dubbio reddito d’impresa), così come per le “società tra avvocati” ex D.Lgs. n. 96/2001 (regolate come s.n.c. ai fini civilistici ma non considerate commerciali, equiparate alle associazioni senza personalità giuridica per l’esercizio di arti e professioni ai sensi del T.U.I.R., perciò produttive di reddito da lavoro autonomo, e non soggette a fallimento), altrettanto non può dirsi ancora oggi per le S.t.p., che rappresentano un modello peculiare.
Da ultimo, in attuazione dell’art. 7 della L. n. 23/2014 (c.d. “delega fiscale”), il Governo ha stilato un primo schema di decreto legislativo che prevede, tra le altre cose, che l’utile della S.t.p. venga attribuito ai soci per trasparenza e che la quota imputata al singolo socio (socio professionista o socio non professionista per prestazioni tecniche o per finalità di investimento, secondo la L. n. 183/2011) venga classificata come reddito da lavoro autonomo, con l’unica eccezione relativa ai soci non professionisti, che esercitano attività d’impresa, e che considerano la partecipazione nella S.t.p. tra i beni relativi alla stessa, con un utile personale qualificato come provento/reddito d’impresa.
In attesa dei testi ufficiali, una importante conferma di quanto già di fatto contenuto nel disegno di legge S.958 (“semplificazione”) all’art. 27, comma 4, che risulta ancora in discussione al Senato.
Un ulteriore dettaglio che non dissolve di certo i dubbi generali (solo poche settimane addietro, infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva assunto una diversa posizione), nè quelli generati dalla Circolare n. 32024, ma di cui tener conto ai fini dell’ipotesi di accesso dei professionisti alle agevolazioni in Zona Franca Urbana, che riguardano imprese e professionisti in forma d’impresa e perciò operano in riduzione di imposte su imponibili derivanti da attività d’impresa…
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Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 59/e del 9 giugno 2014.
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In un articolo apparso ieri sulla testata telematica “Pupia”, si parla addirittura di “allarme” lanciato da organizzazioni di categoria e rilanciato dall’Assessore alle Attività Produttive del Comune di Aversa, Vittorio Ros, in merito all’inserimento, nell’elenco degli ammessi alle agevolazioni nella ZFU aversana, di imprese in realtà non insediate all’interno dell’area individuata.
Va sottinteso che, in teoria, potrebbe ben accadere che un’impresa, notoriamente situata altrove, abbia nell’occasione aperto regolarmente e tempestivamente segnalato alla Camera di Commercio una unità locale in ZFU (secondo la disciplina dettata dal D.M. 10 aprile 2013).
E al momento non è dato sapere quanti siano i casi in questione nè se il problema riguardi altre e quante e quali ZFU e, dunque, se siano giustificati un allarme pubblico e la preoccupazione che una grossa fetta delle coperture sia stata ingiustamente sottratta a chi ne avrebbe avuto diritto sin dall’inizio (il rischio è infatti quello della dispersione di risorse che altrimenti sarebbero state destinate ad una maggiore esenzione per le imprese istanti, ammissibili e in possesso dei requisiti per la fruizione dei benefici).
Tuttavia, l’occasione è propizia per qualche precisazione tecnica generale, soprattutto a vantaggio dei potenziali beneficiari delle esenzioni nelle ZFU per le quali i termini di presentazione dell’istanza di accesso non sono ancora spirati (Puglia, scadenza il 12 giugno prossimo).
E’ certamente vero che l’istanza consiste in una dichiarazione sostitutiva ex art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, con la conseguenza, ove sia dichiarato, anche solo per mero errore, il falso, della successiva revoca con decreto di recupero da parte del Ministero dello Sviluppo Economico di quanto fruito in riduzione in F24 (come disposto dal D.M. 10 aprile 2013), fermi restando i profili penali.
Occorre infatti tener presente che il sistema di accesso, improntato a semplicità e responsabilità (non a caso l’istanza è un’autocertificazione sulla sussistenza dei fondamentali requisiti di ammissibilità, da compilare in pochi passi, firmare digitalmente e inviare per mezzo telematico), è concepito in modo tale che non tutto è verificabile in tempo reale ma può essere oggetto di controlli ex post.
Per quanto riguarda, in particolare, l’unità locale in ZFU, l’istante non deve, in effetti, dichiarare la zona censuaria (da censimento Istat 2001) di appartenenza, ma il solo indirizzo dell’unità locale che lo stesso imprenditore afferma essere in ZFU, purchè alla data di presentazione dell’istanza la medesima unità risulti da certificato camerale.
E’ del tutto evidente che l’indicazione di una sede invece non inclusa in ZFU, se da un lato (risultando comunque nelle banche dati camerali come sede legale o operativa o altro) non osta all’ammissione automatica dell’istanza, dall’altro può successivamente comportare le conseguenze sopra ricordate, sia per insussistenza di uno dei requisiti fondamentali previsti dall’art. 3 del D.M. 10 aprile 2013, sia per dichiarazione mendace (decadenza dal beneficio con revoca e profili penali, tutto ai sensi degli artt. 75 e 76 del D.P.R. n. 445/2000).
Sorge dunque il problema dei “casi limite” (sia consentito rimandare a un precedente post).
Nè il bando nè il decreto interministeriale sono di “difficile interpretazione” sul punto, dato che non si occupano della delimitazione delle aree, dovendosi far riferimento semmai alle proposte deliberate dagli stessi Comuni nell’estate del 2008 e alle relazioni regionali immediatamente successive, nonchè eventualmente alla delibera del Cipe n. 14/2009.
Nei “casi limite”, dunque, non può che consigliarsi, a chi è ancora in tempo, di rivolgersi ai Comuni di appartenenza (depositari di tutti i dati anagrafici, demografici, toponomastici, urbanistici e censuari, nonchè delle proposte istitutive del 2008 con allegate cartografie e elenchi delle zone censuarie 2001) per ogni chiarimento sull’inserimento o meno di una determinata sede (situata in un determinato indirizzo) in una delle sezioni censuarie 2001 che compongono la ZFU e che il Ministero dello Sviluppo Economico ha reso definitivamente pubbliche sul proprio sito web.
Le ZFU, infatti, sono ufficialmente e formalmente delimitate per sezioni censuarie 2001, mentre le cartografie (lo ricorda lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico) ha inevitabilmente un mero valore indicativo.
Condivisibile è, infine, la preoccupazione di Franco Candia, responsabile aversano di Confesercenti, sul destino delle ipotetiche somme recuperate a seguito di eventuali revoche: l’auspicio è che tali risorse siano stanziate, quando sarà, a beneficio delle medesima area bersaglio e a vantaggio delle imprese già ammesse e che hanno tutti i requisiti per la fruizione delle agevolazioni in Zona Franca Urbana.
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